Gli chef potranno rivendicare il diritto di paternità delle proprie creazioni, forme d’arte. I principi su cui si fonda tale tutela sono sanciti dalla legge sul diritto d’autore n. 633/1941 (“l.d.a.”). Secondo tale legge, tutte le opere dell’ingegno, tra cui quelle del disegno e/o delle arti figurative e similari, che presentino nella loro rappresentazione estetica un carattere creativo minimo – oltre che le opere del design industriale ove il carattere creativo sia affiancato anche da un valore artistico – sono tutelabili (si vedano gli artt. 1, 2 n.4, n.5 e n. 10 della l.d.a).
Il caso degli chef
Le opere culinarie degli chef, ove presentino un minimo di creatività, possono essere tutelate in quanto equiparate ad opere delle arti figurative, del disegno e/o della scultura, i cui colori e/o forme sono realizzati con alimenti al posto di materiali non commestibili quali ad esempio tempere, pitture, tele, ecc.
Il copyright del gusto
Al pari di tutti gli altri autori, gli chef che creano opere dell’ingegno godono di tutti i diritti morali e patrimoniali che la l.d.a. e le leggi internazionali sul copyright riservano agli autori, nonché agli artisti, interpreti ed esecutori.
L’esigenza di tutela, di certezza del diritto, trova le sue ragioni anche nel fatto che stiamo assistendo attraverso i mass media e i social network alla costruzione di una immagine di chef collegata a una nuova forma di creatività e nuovi modelli di business, che necessitano di protezione.
Il cambio di rotta della Cassazione
Con la sentenza n.18220/19 la Corte Suprema di Cassazione ha riconosciuto la violazione del diritto di paternità dell’autore e il conseguente danno per la pubblicazione di opera come anonima. Viene sancito per la prima volta dalla Cassazione anche il diritto per l’autore di vedersi sempre riconosciuta la paternità dell’opera, superando le precedenti pronunce che escludevano una violazione di tale diritto nel caso in cui l’utilizzatore non avesse attribuito a sé o ad altri la paternità, ma avesse semplicemente omesso il nome dell’autore, esercitando dunque arbitrariamente un diritto personalissimo dell’autore mediante un anonimato che dalla Corte Suprema è stato definito come “anonimato forzato”. Una pronuncia che dunque tutela autori molto spesso privati dei loro diritti morali e patrimoniali a vantaggio degli utilizzatori che impongono un “anonimato forzato”, avallato da precedenti pronunce.